Vive solo, è sposato e ha due figli. Quando è iniziata l’invasione li ha accompagnati alla stazione per un ultimo saluto prima di guardarli salire su un treno diretto in Europa. Viene da Lviv ma vive a Kyiv da quando si è trasferito per fare l’università. L’Ucraina non esisteva, c’era ancora l’Unione Sovietica. Suo nonno era un importante dirigente del partito nell’Oblast di Lviv, suo padre è un orgoglioso comunista, non si parlano più da tempo. è cresciuto parlando russo perché facendo due conti non c’era altra scelta: se volevi studiare tra un libro di testo in lingua ucraina e tutti gli altri in lingua russa, le alternative sono poche.
Ricorda molto bene la fine dell’Unione Sovietica nel non troppo lontano 1991, il suo primo viaggio in Europa, e la decisione con sua moglie che da quel momento in avanti avrebbero parlato soltanto ucraino: a lavoro, in casa, davanti ai loro figli, perché la loro prima parola pronunciata sarebbe dovuta essere in ucraino, la loro lingua.
Mi racconta che dalla sua indipendenza l’Ucraina era divisa in due tra chi guardava alla Russia e chi all’Europa, ma che anche la Russia prima di Putin vedeva nell’Europa il suo futuro. Poi all’improvviso tutto cambiò. Dopo Euromaidan, la rivoluzione pro Europa del 2014, gli ucraini si risvegliarono improvvisamente tutti nazisti. Mi guarda: io nazista? Si mette a ridere scuotendo la testa (si stimano 4 milioni di morti in Ucraina a causa delle persecuzioni naziste). Con Putin la propaganda anti occidentale è diventata fortissima: le trasmissioni tv, le radio, iniziarono a vestire la democrazia, i diritti civili, le persone lgbt con il cappotto del nemico della tradizione e della cultura russa. Rievocando il grande impero, gli zar, Stalin, La grande madre Patria.
Il 24 febbraio 2022 però, ha tolto ogni dubbio a molti, anche a chi guardava alla Russia di buon occhio. L’invasione è stata percepita come un grande tradimento e una ferita inguaribile.
Sta sera è provato, ma ci ha fatto il callo. Insegna medicina tattica a chi si è arruolato, vorrebbe andare a combattere anche lui ma un problema alla schiena glielo impedisce. Questa mattina cinque dei suoi allievi sono partiti per il fronte, Bakhmut, quello più caldo. Altri sono appena tornati, non tutti.
Dopo un attimo di silenzio riprende a raccontare e mi dice: “Sai Bakhmut è una piccola città, avrà avuto poco più di diecimila abitanti, non è un punto strategico, ma per l’umore di ognuno di noi è importante. Dall’inizio della guerra ogni ucraino ha perso almeno una cosa: chi il lavoro, chi la casa, un amico o un fratello… Perdere ancora, oggi, non ce lo possiamo permettere.”
Gli domando se realisticamente la Crimea possa tornare sotto il controllo dell’Ucraina, e mi conferma una cosa già sentita più volte da altri ucraini. Nessuno in Ucraina in questo momento dirà mai che la Crimea, occupata militarmente dai russi dal 2014, non sia recuperabile, ne va del sentimento e dell’umore di chi combatte e di chi si è ritrovato costretto ad andare via dalla propria casa. Ma aggiunge una cosa, un anno fa era difficile per chiunque pensare di poter resistere e cacciare l’invasore, l’Ucraina aveva già perso due volte la propria indipendenza: la prima volta durante il periodo dei cosacchi e dell’Impero russo che non riconobbe mai le promesse di autonomia del trattato di Perejaslav; e poi successivamente durante la rivoluzione del 1917 in cui il tentativo di indipendenza della Repubblica popolare Ucraina venne infranto da una guerra civile e successivamente inglobato nell’URSS come Repubblica socialista sovietica Ucraina. Se il presidente (Zelensky) fosse scappato abbandonando il suo popolo, le persone si sarebbero sentite smarrite, il sogno d’indipendenza si sarebbe infranto un altra volta.
E infine aggiunge con gli occhi pieni di orgoglio: “un anno fa, nei giorni precedenti all’inizio dell’invasione, vidi migliaia di persone in fila per imbracciare un fucile, allora capii che questa sarebbe stata la volta buona.”